UNA DOVEROSA PREMESSA ED UN RINGRAZIAMENTO
Questo breve contributo nasce dalla volontà di portare a conoscenza i lettori di Gallica Parma della riproduzione di un falcetto (falx messoria) rinvenuto in un piccolo sepolcreto familiare ligure di età ellenistica emerso nel 2009 presso la Pietra di Bismantova, in provincia di Reggio Emilia, esattamente sulla cengia da cui diparte la “via Sirotti” usata dagli scalatori per salire sulla sommità del monolite.
Il falcetto, per i cui dati si ringrazia enormemente l’archeologo Nicolò Donati, pare essere ad oggi l’unico esemplare del genere rinvenuto in tombe liguri datate al Ligure III B2-Ligure III C (seconda metà del III secolo a.C. – prima metà del II a.C.). Da questa rarità ed eccezionalità è nata la voglia di ricostruirlo e proporlo tra i materiali delle didattiche legate alla cultura ligure portate avanti dallo scrivente e dall’Associazione di cui è membro, APS Popolo di Brig.
La ricostruzione è ad opera dell’amico Ferh-eih Historical Metalworks.
I materiali del sepolcreto sono esposti presso il Palazzo dei Musei Civici di Reggio Emilia.
IL SEPOLCRETO FAMILIARE LIGURE DI EPOCA ELLENISTICA DELLA PIETRA DI BISMANTOVA
Nell’ottobre del 2009 in una cengia sul versante sud-occidentale della Pietra di Bismantova (RE), nel settore del “Camino Sirotti”, è emersa una piccola necropoli familiare ligure composta da tre tombe a incinerazione entro vaso ossuario e – sembrerebbe – prive di cassetta litica.
I corredi delle tre tombe, datate tra la metà del III a.C. e la metà del II a.C., hanno permesso di definire il sesso degli inceneriti mentre i resti scheletrici incombusti la loro età indicativa:
Tomba 1: femminile (età genericamente adulta)
Tomba 2: maschile (età matura: >40)
Tomba 3: maschile (età giovanile: circa 14 anni)
I materiali rinvenuti all’interno dei tre ossuari e quelli rinvenuti sparsi per terra nello spazio tra i vasi sono numerosi, piuttosto ricchi ed in alcuni casi inconsueti per tombe liguri precedenti la romanizzazione in Emilia-Romagna.
Per una disamina generale dei reperti si rimanda al volume “ON THE ROAD. Via Emilia 187 a.c. – 2017″ in Bibliografia, catalogo dell’omonima mostra svoltasi a Reggio Emilia nel 2017 dove sono stati presentati al pubblico per la prima volta, ma per dare un’idea della varietà e quantità basterà qui ricordare che tra materiali rinvenuti sono emersi:
– un gran numero di borchie in bronzo, delle quali 25 di forma insolita a fungo (di pertinenza della T.1 femminile) e 13 di forma conica (dalla T.1 maschile)
– un gancio da cintura a tridente in bronzo e relativa placca forata a cui dovrebbero afferire 2 borchie coniche; il gancio a tridente è di tipologia inconsueta, non trovando confronti in altre tombe liguri dell’Appennino Emiliano e, seppure nelle sue differenze, può essere avvicinato al gancio frammentario ma indubbiamente a tridente rinvenuto nella necropoli dei Liguri Statielli di Rocca Grimalda, nell’alessandrino (per approfondimenti su Rocca Grimalda si veda il contributo di Antonella De Marchi e Silvia Pirotto in Ligures Celeberrimi in Bibliografia). Si segnala che presso i Musei Civici di Reggio Emilia è esposto un gancio a tridente molto simile, catalogato col numero 156, ma sicuramente più tardo
– elementi di almeno 2 lance
– 26 saltaleoni in bronzo
– 2 armille a capi aperti, in bronzo
– 3 anelli in bronzo
– numerose fibule, sia ad arco foliato in bronzo di tradizione ligure sia in ferro di tradizione celtica
– 1 vago in pasta vitrea blu con decorazioni in pasta gialla e occhi in pasta bianca
– 1 rasoio in ferro
All’esterno della T.3, e di sicura pertinenza della stessa, era deposto il falcetto in ferro tema di questo contributo.
I materiali ed il rito funebre si inquadrano nel panorama della cultura dei Liguri Orientali del III e II a.C. dell’Appennino Tosco-Emiliano e delle Alpi Apuane – cremazione con deposizione delle ceneri in urna chiusa da ciotola-coperchio e accompagnata da vaso o bicchiere accessorio, ed inserimento in cassetta litica o piccola buca – e più precisamente nella cultura dei Liguri Apuani.
Sono soprattutto i vasi ossuari – cioè i vasi destinati a contenere i resti cremati dei defunti ed i loro beni – ad esserne un chiaro indicatore: le due olle cinerario della T.1 e T.2, decorate a fasce, e il deinos anch’esso decorato a fasce dalla T.3 sono oggi identificati come un “fossile guida” dei Liguri Apuani (per una disamina si rimanda al testo “Liguri Orientali” di Adriano Maggiani in Bibliografia).
Questo apre la questione dei confini tra Liguri Apuani e Liguri Friniati che nelle fonti antiche sono sempre in qualche modo collegati, così come sono collegati i monti a loro sacri su cui nelle alterne fasi delle guerre tra i dui popoli e Roma vanno ad arroccarsi (ci si riferisce ai famosi Suismontium, Letum e Balista, definiti come “monti degli avi”), che però non verrà affrontata in questa sede.
Basti ricordare che i materiali cercamici che rimandano all’ambito Apuano nel territorio Reggiano e Modenese (quello che dalle fonti sembrerebbe il confine tra Apuani e Friniati) sono sporadici e relegati a pochissimi rinvenimenti disseminati tra Bismantova e Monte Valestra, e ben si differenziano dai materiali liguri “locali” coevi, come se vi fosse stata una piccola infiltrazione apuana nel territorio storicamente dei Friniati dovuta a ovvie relazioni di vicinato e similarità culturale in un momento, va ricordato, di estremo pericolo a causa delle guerre contro Roma.
Nella foto sotto si può notare la differenza tra i materiali ceramici “apuani” del sepolcreto di Bismantova (sopra) e i materiali liguri coevi rinvenuti a Villa Baroni di Roncolo (Quattro Castella, RE), in un contesto più basso e più a settentrione (sotto). Sempre nella foto, a destra, la spada celtica di tipo Hatvan-Boldog/Kosd rivenuta sul Monte Valestra.
Vuoi approfondire il tema dell’armamento dei liguri orientali, cioè quei popoli liguri stanziati nel territorio compreso tra la Val di Vara e Magra ad ovest, il fiume Po a nord, Pisa a sud e Pistoia e l’appennino bolognese ad est?
Leggi il mio articolo La panoplia del guerriero ligure orientale tra III e II secolo a.C.
LA FALCE MESSORIA: UNA PICCOLA INTRODUZIONE
Strumento antichissimo utilizzato dall’uomo per millenni, il falcetto o falx messoria – da non confondersi con la roncola da cui diverge per forma e per utilizzo – è il simbolo per eccellenza della cerealicoltura e dello sfruttamento umano del territorio e viene oggi rinvenuto in contesti di abitato, funerari e depositi votivi.
“È uno strumento caratterizzato da una lama fortemente curvata a forma di circolo e da una corta immanicatura lignea. Esso era impiegato prevalentemente nella mietitura dei cereali e delle erbe dotate di alto stelo (graminacee) e, a differenza della falce, veniva impugnato con una sola mano mentre con l’altra si stringeva il fascio che si voleva recidere” (Federica Fiori , “L’instrumentum metallico di Monte Bibele”, in “Studi sulla media e tarda età del ferro nell’Italia settentrionale”)
Nonostante la sua antichità e diffusione, il falcetto messorio è uno strumento che non sembra comparire nei contesti liguri della facies orientale del III-II a.C., dove nelle sepolture maschili si predilige la scelta di oggetti che rimandino allo status di guerriero.
Anche con la romanizzazione questo oggetto rimarrà qualcosa di raro e forse sostituito dal suo parente più prossimo: la falx vinitoria, la nostra roncola, come l’esemplare con manico a cannone rinvenuto presso la fornace per metalli sul Monte Follia a Pietrabruna (Imperia), datato tra la fine del I a.C e l’inizio del I d.C.
Si tratta di uno strumento legato ad attività agro-silvo-pastorale come lo sfalcio di rami e arbusti connesso forse a quella viticultura che con la romanizzazione prende piede in Liguria e documentata per esempio da Plinio, che cita i vini resinosi liguri (XIV, 124) e l’uso di appassire le uve al sole avvolte in fasce di giunchi e poi messe in orci chiusi con gesso (XV, 66)
Diversamente da quello ligure, invece, in altri contesti culturali del Nord Italia sono molteplici i rinvenimenti di questo attrezzo: ci si riferisce a contesti etruschi, veneti, gallici, leponzi e retici, in cui falcetti provengono da abitati, sepolture, e contesti votivi.
Dando un’occhiata ai contesti più vicini geograficamente all’areale Ligure, l’esempio migliore è quello etrusco, che ha restituito diversi falcetti messori da depositi (un esempio su tutti il ripostiglio di San Francesco a Bologna), abitati (Marzabotto, Forcello, Luni, Talamone) o contesti devozionali: famosa è la rappresentazioni di Selvans, il dio agreste col falcetto (o forse roncola) rinvenuta presso il santuario di Ghiaccio Forte, avamposto militare di Vulci nell’attuale territorio di Scansano in Maremma.
(Per una disamina approfondita di Selvans e dei suoi attributi si veda E. Vanni “Selvans/Silvanus in Etruria: dio di spazi aperti e pratiche integrate” in Bibliografia)
Guardando invece all’ambito gallico cisalpino – dove lo strumento è chiamato “serra”, dall’indoeuropeo *s(e)rpo – ci accorgiamo che in linea con i contesti lateniani transalpini, dove falcetti e falci compaiono già a partire dal V a.C. (un esempio è il deposito di utensili dell’abitato boemo di Chynov, datato al passaggio tra LTA e LTB) e si protraggono per tutta l’epoca lateniana (basti pensare ai numerosi falcetti rinvenuti nel sito di La Tène) con un picco nel tardo La Tène, anche i rinvenimenti italiani si fanno più consistenti a partire dal LTC1 finale (circa 200-175, in un momento coevo alla deposizione del falcetto nella T.3 di Bismantova. a.C.), per esplodere poi nelle tombe del periodo successivo LTC2 e LTD, cioè nel periodo della romanizzazione della Cisalpina. Esempi provengono dalle necropoli medio e tarde lateniane della Transpadana di Oleggio, Dormelletto, Remedello Sotto per citarne solo alcune.
Ovviamente questo fenomeno è tutto transpadano e non si verifica nel comprensorio emiliano, dove nel 191 a.C. i Boi vengono definitivamente sconfitti militarmente e privati di metà del loro territorio, subendo deduzioni, emigrando o venendo relegati ai margini della nascente via Emilia e delle colonie, rarefacendo drasticamente la presenza gallica al di qua del fiume Po.
Per l’ambito boico emiliano i rinvenimenti di falcetti, come vedremo tra poco, provengono da contesti abitativi e non da sepolture.
Qui alcuni falcetti rinvenuti in contesti medio e tardo lateniani italiani, in cui si può constatare la varietà di forme sia della lama sia del codolo (forse per utilizzi specializzati dell’oggetto stesso):
Un esempio più antico: la tomba venetica di Limade di Caverzano (Belluno), datata tra la fine del VI e l’inizio V a.C., in cui è bene evidente la presenza del falcetto in ferro, allusivo alla pratica dell’agricoltura.
Il deposito votivo di Borgo Giacomo Tommasini di Parma
Dal centro di Parma, in Borgo Giacomo Tommasini, uno scavo avvenuto presso l’ex scuola Conservatorio delle Maestre Luigine ha riportato alla luce una domus romana di età imperiale, una fornace per la produzione di materiale fittile di epoca repubblicana e quello che sembra essere un deposito votivo di epoca gallica, tra III e II a.C., con tre falcetti messori in ferro sovrapposti.
Tale ripostiglio sembra potere rimandare ad un probabile rito di fondazione di origine celtica, forse collegato alla palude sacra usata dai Galli Boi e localizzata dagli scavi nella parte meridionale dell’attuale centralissima Piazza Garibaldi, a poche centinaia di metri da Borgo Giacomo Tommasini, su cui si estenderà anche il foro di Parma romana.
Le tre lame presentano una larghezza media di cm 4,5 e uno spessore di cm 0,7. I codoli (a lingua forata) sono lunghi dai 4 ai 5 cm e recano il foro passante e in un caso il chiodo di ferro che fissava l’immanicatura in legno.
(da Gloria Capelli “Il ripostiglio di falci in ferro” in “Storie della prima Parma” – vedi Bibliografia finale)
DUE CONFRONTI LOCALI: I FALCETTI DI MONTE BIBELE E DI MARZABOTTO
Se i coevi falcetti del deposito di Parma differiscono per forma e per immanicatura dal falcetto di Bismantova, due falcetti rinvenuti in contesti geograficamente e culturalmente molto vicini si prestano a confronti diretti: si tratta di due falcetti provenienti dal territorio bolognese, dagli abitati etrusco-celtici di Marzabotto e di Pianella di Monte Savino (Monterenzio) e datati alla facies gallica, che presentano una morfologia molto simile.
- I falcetti di Pianella di Monte Savino:
L’abitato etrusco-celtico di Pianella di Monte Savino, sul massiccio di Monte Bibele nel comune di Monterenzio (BO) ha restituito diversi attrezzi metallici tra cui due falcetti messori in ferro.
Il primo, di grande dimensione, non è raffrontabile al falcetto di Bismantova in quanto differisce per dimensioni e per immanicatura (qui a lingua forata).
Il secondo invece, qui sotto segnato in rosso, è per dimensione, forma e immanicatura a codolo vicino al falcetto di Bismantova; ne differisce però nella punta smussata (potrebbe essere fratturata) e nella lunghezza del codolo, qui più corto. Presenta inoltre anch’esso l’appendice triangolare per l’arresto del manico, che nell’esemplare di Bismantova – anche se bene evidente – appare smangiata.
- Il falcetto di Marzabotto:
La città etrusca di Kainua / Marzabotto ha restituito diversi falcetti messori della fase di occupazione celtica (seconda metà del IV – seconda metà del III a.C.) ed è soprattutto uno che per forma e dimensione si avvicina maggiormente al reperto di Bismantova.
Anche il falcetto di Marzabotto presenta immanicatura quadrangolare a codolo e appendice triangolare per il blocco del manico
Non è forse un caso che i confronti diretti per il falcetto della T.3 di Bismantova provengano da contesti celtici emiliani; basterà qui ricordare il noto passo liviano (Livio XXXVI 39, 6)
le guerre dei Liguri erano sempre state legate a quelle galliche; quelle popolazioni solevano portarsi reciproco aiuto, data la loro vicinanza.
per ricordare la forte vicinanza, non solo territoriale, tra i due popoli. Vicinanza che nell’Emilia-Romagna e nel comprensorio delle Apuane e della Lunigiana (ma in realtà in tutta la Liguria Antica) si concretizza a partire dalla metà del IV a.C. anche in adozione da parte dei Liguri di materiali (e forse anche usi) gallici accanto ai propri. Adozione che è bene indiziata anche a Bismantova, dove accanto alle fibule in bronzo ad arco foliato – marker dei Liguri orientali per eccellenza – compaiono fibule celtiche in ferro.
Osservando i materiali del piccolo sepolcreto ligure emerge come siano rispettate le caratteristiche tipiche delle tombe liguri del periodo in contesto emiliano-romagnolo ed apuano; sebbene manchi la spada a connotare i defunti della T.2 e T.3 come guerrieri, sono presenti almeno 2 lance e va ricordato che da contesti liguri emiliani provengono solamente due spade (Monte Valestra e della tomba 2 di Veleia) e che anche nel contesto limitrofo della Garfagnana la spada è oggetto raro al pari dell’elmo (non si prende qui in esame la sepoltura di Casaselvatica di Berceto per le caratteristiche troppo peculiari che la rendono papabile sia come sepoltura ligure sia come gallica).
Strumento di lavoro piuttosto che arma (ma indubbiamente arma di opportunità in caso di bisogno) il falcetto rinvenuto accanto all’urna del ragazzo di Bismantova ci mostra forse un riferimento diretto all’attività agricola svolta dal giovane?
Meno in linea con il contesto ligure appare l’ipotesi che il falcetto sia un rimando, in una sorta di metonimia simbolica, al fatto che il giovane facesse parte di una famiglia abbiente Apuana e in quanto tale padrona del territorio. Famiglia che si fa deporre sulla Pietra di Bismantova, che sembra potersi connotare sempre più come monte sacro verso cui le genti liguri convergono per dare sepoltura ai loro morti. Optando per questa ipotesi si aprirebbe la questione dell’uso del territorio e dei compasqui tipici della Liguria Antica.
Queste stesse domande si possono proporre nel caso delle numerose sepolture galliche in cui la spada convive col falcetto e le cesoie: il falcetto rimanda all’attività agricola e le cesoie all’attività pastorale, mostrando che il defunto era sì uomo in armi ma che svolgeva anche attività meno violente, in un momento in cui gli eserciti gallici sono composti sempre più da grandi masse di uomini non specializzati nell’arte della guerra? Oppure rimanda simbolicamente al fatto che il defunto fosse un proprietario terriero e di armenti?
Viaggiando nel tempo e spostandoci geograficamente, una situazione analoga si pone circa 100 anni dopo nella tomba 7 della necropoli celtica di Lazisetta a Santa Maria di Zevio (VR) dove le ceneri di un bambino di 5-7 anni vengono deposte su un carro a quattro ruote, accompagnate da un corredo di enorme ricchezza che prevede accanto ad una panoplia completa anche diversi attrezzi agricoli, tra cui una falce ed un falcetto messorio. Ma qui è impossibile pensare che il bambino, membro di una famiglia eminente della comunità cenomane, abbia mai usato realmente la falce (ma anche le armi) e in questo caso è plausibile pensare che tali oggetti siano dei simboli di status e di proprietà territoriale come le armi sono il simbolo dello status di guerriero e capo che avrebbe raggiunto in età adulta.
LA RIPRODUZIONE DEL FALCETTO DELLA T.3 DI BISMANTOVA
Falcetto in ferro: lungh. 28; largh max lama 2,5; sp. 0,7.
Il reperto originale prima e dopo il restauro:
Rispetto al reperto, l’appendice per il blocco del manico in legno è più accentuata: l’idea è che quella dell’originale si sia smangiata nel tempo.
Per il manico è stato scelto legno di frassino.
BIBLIOGRAFIA:
- “ON THE ROAD. Via Emilia 187 a.c. – 2017” (catalogo della mostra) a cura di Georgia Cantoni e Annalisa Capurso, Grafiche Step Parma (2017)
- “I Liguri e Roma. Un popolo tra archeologia e storia – Atti del convegno Acqui Terme 31 maggio – 1 giugno 2019″, a cura di Silvia Giorcelli Bersani e Marica Venturino (con la collaborazione di Giordana Amabili), Edizioni Quasar (2021)
- “Antichissima Bismatova. Il sito pre-protostorico di Campo Pianelli. 150 anni di ricerche” (catalogo della mostra a Castelnovo Monti, 19 aprile-2 novembre 2014), a cura di Iames Tirabassi, Carsa Edizioni (2014)
- “I celti di Dormelletto”, a cura di Giuseppina Spagnolo Garzoli, Alberti Libraio Editore (2010)
- FIORI Federica, “L’instrumentum metallico di Monte Bibele”, in “Studi sulla media e tarda età del ferro nell’Italia settentrionale”, a cura di Daniele Vitali con la collaborazione di Anna Bondini, Ante Quem (2005)
- MAGGIANI Adriano, “Liguri orientali: la situazione archeologica in età ellenistica”, in “Rivista di studi liguri XLV”, Bordighera (1979)
- CAPELLI Gloria, “Il ripostiglio di falci in ferro”, in “Storie della prima Parma. Etruschi, galli, romani. Le origini della città alla luce delle nuove scoperte archeologiche” (catalogo della mostra), a cura di Daniela Locatelli, Luigi Malnati e Daniele F. Maras, L’Erma di Bretschneider (2013)
- DE MARCHI Antonella, PIROTTO Silvia, “Le necropoli”, in “Ligures celeberrimi. La Liguria interna nella seconda età del ferro. Atti del Congresso Internazionale (Mondovì, 26-28 Aprile 2002)”, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera (2004)
- MALNATI Luigi, “Villa Baroni di Roncolo (Quattro Castella). Sepolcreto di età ellenistica”, in “Vestigia Crustunei. Insediamenti etruschi lungo il corso del Crostolo”, Archaeologica Regiensia 5, pp. 285-296, Reggio Emilia (1990)
- MARINI CALVANI Mirella, “Alla ricerca dell’insediamento celtico tra corsi d’acqua e paludi nella regione cispadana il caso di Parma”, in “Vicinitas Aquae. La vie au bord de l’eau en Gaule romaine et dans les régions voisines”, Pulim (2009)
- VANNACCI LUNAZZI Gloria, “Le necropoli preromane di Remedello Sotto e Ca’ di Marco di Fiesse”, Ist. Nazionale di Archeologia (1977)
-
GAMBACURTA Giovanna, RUTA SERAFINO Angela, “I Celti e il Veneto. Storie di culture a confronto”, Ante Quem (2019)
- RUTA SERAFINO Angela, “Nuovi restauri di armi venete”, in “Mélanges de l’École française de Rome. Antiquité” tome 108, n°2., pp. 631-640 (1996)
- KNOBLOCH Roberto, “L’età di La Tène nel Cremasco: Catalogo dei rinvenimenti”, in “Insula Fulcheria”, rivista n. XXXIX, Vol. b (2009)