Ver Sacrum

Ver Sacrum

 

«La primavera sacra (ver sacrum) è un rituale ben noto nella storia dell’Italia preromana, che consiste nel dedicare a una divinità, per lo più Marte, ogni essere vivente (umano e animale) nato o nascituro in un determinato anno. Al compimento del ventesimo anno, i giovani, anziché essere immolati al dio, erano costretti ad abbandonare la comunità di origine in cerca di nuove sedi; la migrazione avveniva sotto gli auspici di un animale totemico, che veniva forse assunto a insegna sul vessillo di guida del gruppo e ispirava la nuova denominazione etnica. Se alcuni studiosi hanno accettato questa tra dizione, ritenendola genuina, altri hanno espresso l’ipotesi che queste migrazioni siano state ricostruite dagli storici romani di età tardo-repubblicana, in base alle notizie sui fenomeni di mobilità geografica delle popolazioni italiche: in questa prospettiva il meccanismo del  ver sacrum corrisponderebbe a  una sorta di mo dello ideologico elaborato dagli antiquari romani per interpretare i fenomeni di dinamismo migratorio italico (G. Tagliamonte). Anche se frutto di una ricostruzione erudita della storiografia tardo-repubblicana, tuttavia nella realtà storica il ver sacrum dovrebbe riflettere un meccanismo di autoregolamentazione della comunità, che, giunta al limite dello sfruttamento delle risorse reperibili nel territorio di origine, era costretta a espellere alcuni membri per garantire la sussistenza dell’intero gruppo e quindi la propria sopravvivenza. Non soltanto l’eccessiva crescita demografica, ma anche imprevisti fenomeni di carattere ecologico come una repentina epidemia o una carestia, dovuta alla siccità o alla distruzione dei raccolti, potevano costringere a tale pratica, che in una fase più antica veniva espletata con sacrifici umani. Oltre a essere dettata da motivazioni di carattere ecologico, la migrazione di intere classi di età assume talvolta anche valore politico: il voto del ver sacrum può essere effettuato per ringraziare la divinità, non a caso Marte, per una vittoria in guerra o per la grande disponibilità di uomini in armi, che sono in grado di espandere l’area occupata dall’insediamento originario con fon dazioni di nuovi centri. In questa prospettiva, il meccanismo de scritto diviene paragonabile a una colonizzazione».

A. Naso, I Piceni, pp. 29-30

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