A partire dalla fine del III secolo a.C. nella zona della Boemia e dei Balcani le popolazioni celtiche iniziano a coniare moneta – in ritardo di circa 1 secolo rispetto alle popolazioni celtiche italiane – copiando lo statere aureo macedone, con l’immagine della testa di Atena al dritto e la figura della Nike (Vittoria) alata al rovescio.
Per via dell’alto valore, queste monete non erano utilizzate negli scambi quotidiani, ma tesaurizzate oppure usate come doni ed offerte.
Nasce così l’esigenza, durante la cultura degli Oppida celtici tra II e I a.C., di avere valori divisori più piccoli, così da utilizzare la moneta nel quotidiano. Nascono così valori divisori: terzi, ottavi e ventiquattresimi coniati in materiali meno preziosi come l’argento (che presso i Celti italiani rappresenta l’unico materiale) e lege povere in stagno, piombo ed ottone.
Nella metà del I a.C. nell’oppidum di Bratislava, uno dei principali centri della nazione dei Galli Boi vengono coniate delle monete del peso di circa 17 g, le cosiddette tetradramme o tetradracme (dal peso di 4 dracme) in argento, le più famose con il nome in caratteri latini di BIA/BIATEC con al rovescio un cavaliere lanciato al galoppo.
La moneta è tipica dei Galli Boi di Bratislava, l’attuale capitale della Slovacchia e rappresenta (assieme alla moneta con nome NONNOS) la più antica attestazione alfabetica nell’area.
Normalmente il dritto presenta una o due teste, a volte col capo cinto da una corona d’alloro; il rovescio presenta un cavaliere al galoppo. In alcune delle monete meglio conservate è possibile vedere speroni ai piedi del cavaliere, gli speroni, lo scudo oblungo tipo thyreos nelal mano sinistra e la spada nella destra.
Il nome BIATEC (o Biatex, con molta probabilità la contrazione di un nome più articolato e lungo) scritto nell’esergo è il nome personale di un magistrato che svolgeva la funzione dell’argantodannos o argantocomaterecos, che si occupava della gestione e dell’emissione della moneta presso i celti.
Il termine stesso è la fusione di due termini:
– arganto: prefisso che indica l’argento
– dannos/danos: magistrato/curatore, colui che si cura di
è quindi un nome composito per indicare il magistrato che si occupava della coniazione di moneta.
La stele di Vercelli:
Questa magistratura è attestata su poche iscrizioni, principalmente nel nord este della Gallia, tra i Belgi Mediomatrici, i Meldi e i loro vicini Lexovii, ma anche in Italia.
Nei pressi di Vercelli (Vercellae Libicorum ex Salluis horte, Plinio III, 24: Vercelli città dei Libui fondata dai Salii) nel 1960 venne rinvenuta, lungo la sponda sinistra del fiume Sesia, una stele bilingue, in alfabeto celtico (in alfabeto di Lugano o Leponzio) e latino. Si tratta della famosa stele di Vercelli, fatta erigere da un magistrato locale, Acisius/Akisios a.C. della popolazione celtica dei Libui tra l’89 e il 49 a.C.
L’iscrizione in latino:
Finis/campo quem/dedit Acisius/Argantocomater/ecus Communem/deis et homini/bus ita ut lapide [s] IIII/statuti sunt
L’iscrizione in gallico:
AKISIOS ARKATOKO[K] /MATERAKOS TO[.]O / KOT[.A]TOM TEUOY / TONI[O]N EU
Traduzione:
Confine del campo che diede Acisio Argantocomatereco comune agli Dei e agli uomini così come le quattro pietre sono state poste
In pratica la stele dice che Acisio, magistrato coniatore ha donato una area sacra, delimitata da quattro cippi: si tratta di una tipica area sacra gallica definita da quattro lati, donata da un privato, che ha una carica tipicamente gallica.
La stele è attualmente esposta presso il Museo Camillo Leone di Vercelli.