Gli etruschi ed il sangue.
Una brevissima esplorazione della passione per il sangue del mondo etrusco.
Per Ateneo (Deipnosofisti IV, 153) i munera gladiatori vengono importati a Roma per tramite degli Etruschi, agoni in armi che i familiari dedicavano al defunto, con l’idea del “sangue per sangue” e che da forme quasi private/familiari diventano quello che oggi conosciamo, cioè sfarzose dimostrazioni e sanguinosi massacri nelle arene romane.
Uno degli aspetti che più colpisce della cultura etrusca è quello per l’amore del banchetto, del vino, della musica e di tutte quelle forme edonistiche che poi sfociano nell’obesus etruscus di Catullo e nel pinguis tirrhenus di Virgilio, l’etrusco crapulone steso mollemente sul triclinio, tutto dedito ai bagordi ed al vizio, poco interessato all’attività bellica.
Le tombe etrusche sono canonicamente (ma non sempre) splendidi ipogei affrescati, con scene conviviali, feste, scene amorose, giochi e spettacoli: se è vero che, anche l’arte militare è uno dei temi principali dell’arte etrusca, questa cultura è ricordata più per gli aspetti di pacifica allegria e convivialità, amore per il bello ed il lusso ostentato.
Ma gli etruschi, che da sempre attraggono l’interesse come popolo “misterioso” (oggi, per fortuna, questa aurea di mistero e leggenda rimane solo in assurde pubblicazioni la cui scientificità è pari a Novella 2000) – basti pensare al fatto che il primo “etruscologo” riconosciuto fu l’imperatore Claudio – non sono ovviamente banchetti e danzatrici.
Senza citare due film horror italiani (La maschera etrusca e L’etrusco uccide ancora), ecco tre brevissimi e meramente esplicativi esempi di quanto gli etruschi non fossero per nulla inorriditi dalla vista del sangue – in un mondo religioso, quello dell’etrusca disciplina, in cui la lettura delle viscere e del sangue era tra le più alte forme di rapporto col divino.
Al termine della battaglia del Mar Sardo (ca. 540 a.C.) detta anche dell’Alalia – in cui si scontrarono le flotte di Focesi da una parte e quelle unite di Etruschi e Cartaginesi dall’altra – Erodoto riporta della lapidazione dei prigionieri focesi da parte degli abitanti della città di Cerveteri. Fatto che, anche all’epoca, venne visto con orrore e che venne punito con una pestilenza a cui i ceretani posero rimedio solamente grazie al consulto della Pitonessa dell’Oracolo di Delfi, presso cui stando a Strabone i ceretani avevano un proprio thesauros assieme a Spina.
166. Giunti a Cirno (Corsica, l’etrusca Kurnos), per cinque anni coabitarono con le genti che vi erano arrivate prima di loro e vi edificarono dei templi. Ma visto che derubavano e depredavano tutte le popolazioni limitrofe, Tirreni e Cartaginesi di comune accordo mossero contro di loro, entrambi con una flotta di sessanta navi. Anche i Focesi equipaggiarono delle imbarcazioni, in numero di sessanta, e affrontarono la flotta avversaria nelle acque del mare chiamato di Sardegna. Si scontrarono in una battaglia navale e ai Focesi toccò una vittoria cadmea; infatti delle loro navi quaranta furono affondate e le restanti venti risultarono inutilizzabili, avendo i rostri torti all’indietro. Allora navigarono fino ad Alalia, imbarcarono le donne, i bambini e tutto ciò che le navi potevano trasportare e abbandonarono Cirno dirigendosi verso Reggio.
167. I Cartaginesi e i Tirreni si spartirono gli uomini delle navi affondate: gli abitanti di Agylla (la Cisra etrusca, Caere romana), ai quali toccò il gruppo più numeroso, li condussero fuori città e li lapidarono. Più tardi ad Agylla ogni essere che passava accanto al luogo in cui giacevano i Focei lapidati diventava deforme, storpio o paralitico, fossero pecore o bestie da soma o uomini, senza distinzione. Allora gli Agyllei, desiderosi di rimediare alla propria colpa, si rivolsero all’oracolo di Delfi. E la Pizia impose loro un obbligo che adempiono ancora oggi: infatti offrono imponenti sacrifici e bandiscono giochi ginnici ed equestri in onore dei morti.
Erodoto (I libro, 166-167)
Alla lapidazione dei focesi si aggiunge il “divertente” gioco del Phersu, una particolare forma di intrattenimento attestata principalmente sulla Tomba degli Auguri (540-530 a.C.) e delle Olimpiadi (fine VI a.C.) di Tarquinia in cui il personaggio mascherato (Phersu, appunto) aizza un cane legato ad una corda contro un uomo seminudo, con la testa racchiusa in un sacco (nella tomba delle Olimpiadi sembra uno scafandro/casco spaziale perfettamente tondo) ed armato di bastone nodoso.
Nelle raffigurazioni, l’uomo seminudo stilla sangue dalle ferite dei morsi del cane, avvolto nella lunga corda che pare essere usata dal Phersu anche per creare ulteriori problemi nella difesa dal cane.
Aristotele (fr. 247) ricorda che gli etruschi
“non solo fanno il pugilato a suon di flauto, ma anche fustigano e cucinano”.
La tomba più famosa di Vulci, la Tomba François (necropoli di Ponte Rotto), datata alla seconda metà del IV a.C., presenta un impressionante apparato decorativo in cui il sangue è filo conduttore di quasi tutte le scene principali: oltre al tema del sacrificio dei prigionieri troiani da parte di Achille per vendicare la morte di Patroclo (con la cruda scena dello sgozzamento di Truials da parte dello stesso eroe omerico), un’altra scena “rosso sangue” è quella che rappresenta la liberazione di Mastarna/Macstarna-Servio Tullio e dell’uccisione di diversi guerrieri romani ed etruschi alleati dei romani. Il sangue zampilla dalle ferite inflitte ai guerrieri sconfitti e trafitti dalle lame etrusche.