I celti e la musica: una spinosa questione.
Spesso alle manifestazioni di ricostruzione storica i visitarori possono assistere all’utilizzo di diversi strumenti musicali, quali corni bovini, trombe, cornamuse, percussioni, strumenti a corde (attualmente l’unico cordofono che io conosca di proprietà di un gruppo storico celtico è la lira del Teuta Brig e quella della Katerva Kattibrogos).
E’ divenuta ‘mitologia’, in più, che la musica folkloristico-popolare di alcuni paesi sia definita ‘musica celtica’: parlo della musica di paesi quali Irlanda, Scozia, Galizia, Galles, Bretagna..cioè di quei paesi che ad oggi sono definiti gli ultimi baluardi celtici. Gli strumenti in dotazione sono per lo più la cornamusa, l’arpa, il bodhran ecc.
Questo mio testo nasce dall’esigenza di portare un po’ d’ordine nella musica celtica, riportando quelli che sono gli strumenti musicali che le fonti letterarie, iconografiche e archeologica riportano per i celti continentali e britannici (tralascio l’ambito irlandese per le sue peculiarità) durante l’età del ferro.
Lo strumento musicale ad oggi più antico del mondo è un flauto: costruito in osso di ‘grifone’ (un enorme avvoltoio), è stato rinvenuto nella valle di Ach, nel sud della Germania durante uno scavo, nell’estate del 2008. La datazione vede lo strumento costruito durante il paleolitico, tra il 40.000 ed il 35.000 avanti Christo. Lo strumento è, sfortunatamente, spezzato, ma la parte rimasta misura 21,8 cm di lunghezza, presenta 5 fori ed ha un beccuccio a V.
Qui la pubblicazione della scoperta, sul magazine britannico NATURE
Qui si può scaricare il suono dello strumento (cliccare col destro e scegliere Salva oggetto): FOCUS
>>Il mondo classico (tralascio quasi totalmente l’a realtà egiziana e medio-orientale):
Questo splendido affresco della tomba etrusca detta ‘dei Leopardi’, a Tarquinia (500 ac), presenta un suonatore di aulos ed uno di lira (con carapace per cassa armonica?):
Dalla lira proviene il Barbiton, strumento di cui per primo parla Esiodo nell’VIII ac, e che Luciano definisce Lyra maior: essa infatti era una lira di grande dimensione (90 cm?) con i due bracci lunghi e sottili:
In questo mosaico romano si vede bene la varietà degli strumenti musicale del mondo romano, utilizzati per piacere, per accompagnamento, come supporto nella tragedia (per ex. l’aulos):
da destra:
– Tympanum, da cui deriva il nostro termine Timpano; si tratta di un tamburello suonato a mano (come nella taranta)
– Cymbali(o Crotali), i cosiddetti piattini
– Tibiae, simile all’aulos greco, fatto appunto con una tibia ovina
Aggiungiamo anche il Sistro, strumento sacro della dea egiziana Iside:
Questi dunque sono alcuni degli strumenti musicali più utlizzati e conosciuti del mondo antico mediterraneo. Ho volutamente tralasciato alcuni oggetti, quali le siringhe (flauto di Pan), l’organo (ebbene si, il primo organo appare già nel II avanti Christo) in quanto questa vuole essere solamente una carrellata per mostrare la grande varietà degli strumenti musicali che si potevano ascoltare nei palazzi dell’aristocrazia, nelle vie pubbliche, nei teatri, ai simposi ed ai convegni del mondo antico avanti il Christo.
La questione per il mondo celtico, rispetto al mondo classico, è differente!
Differente perché l’archologia celtica non gode delle stesse evidenze di cui gode qualla dell mondo greco-romano-etrusco: cioè, sostanzialmente, non sono stati ritrovati che pochissimi strumenti musicali e l’iconografia (statuaria in primis) non ci consegna che pochissime rappresentazioni di suonatori ed oggetti.
Le informazioni inerenti alla musica ed agli strumenti relative all’ambito celtico sono relativamente scarse rispetto alla mole del mondo classico: ad un discreto numero di rappresentazioni iconografiche e piccole figurine di suonatori tra l’Hallstatt finale (C2, D1 e D2, ovvero tra il 650 ed il 560) e del primo La Téne, segue un calo drastico nelle rappresentazioni (autoctone) di suonatori nell’iconografia, ma un maggior numero di rappresentazioni di strumenti musicali appartenenti all’ambito bellico (chiaramente legato alla situazione di quasi perenne lotta cui erano sottoposti i popoli celtici) ed un buon numero di ritrovamenti archeologici ad essi legati.
>>Hallstatt:
Nel periodo denominato di Hallstatt, le fonti che ci permettono di avere una chiara idea di quelli che potevano essere gli strumenti musicali sono prevalentemente le raffigurazioni su vasi e la tereutica (arte della lavorazione del metallo); scarsi sono i bronzetti di suonatori ed assenti i reperti.
In alcuni vasi di terracotta provenienti dai tumuli Sopron-Varhely (Ungheria), datati alla fine del VII ac, sono rappresentate delle figure che paiono reggere in mano strumenti a corde, anche se la loro ermeneutica è tuttora dibattuta:
– su uno dei vasi, il cui tema è la tessitura (vi è raffigurato un grande telaio, a cui lavora una donna, affiancata da un’altra figura femminile con in mano una fuserola) è rappresentato un personaggio avente in mano quello che per alcuni è una lira per altri uno strumento per l’intreccio. Personalmente propendo per la prima versione. Esso è forse l’unica figura maschile della narrazione, in quanto non presenta attorno al capo i cerchiolini che invece appiono per le tessitrici;
– su un altro vase è presente una narrazione più articolata, in cui stando alla studiosa Biba Terzan (specializzata proprio nella realtà muliebre dell’età del ferro) è rappresentato, assieme ad una scena di caccia al cervo ed ad un carro, un agone musicale tra due personaggi ‘armati’ di strumento a corde.
Ma le fonti iconografiche più ricche del periodo ci vegono dalla toreutica dell’arte delle situle, che ha il suo apice attorno al VI secolo:
– sullasitula Benvenuti, da Este, datata alla fine del VII ac, è rappresentato un suonatore di corno seduto su uno scranno pieghevole (modello etrusco?), attaccato da un guerriero armato di lancia:
– suonatori di siringa (il cosiddetto flauto di Pan) e di lira a 5 corde sono rappresentati sulla situla della Certosa (Bologna), datata VI secolo:
– sulla situla di Vace (datata V secolo), dalla Slovenia, compare un suonatore di siringa:
– e così anche nella cosiddetta situla di Providence:
Come si vede bene nelle immagini, i suonatori rappresentati sulle situle sono tutti seduti ad una sorta di banchetto.
Contemporanea ai suonatori delle situle è una statuetta bronzea di suonatore da Szàzhalombatta (Ungheria), datata VI ac:
sembra trattarsi di un aulos doppio e, nel caso, sarebbe l’unica rappresentazione dell’utilizzo di tale strumento nel mondo celtico prima di Roma.
>>La Téne
(prima metà del V – 50 ac circa):
Per tutto il periodo detto di La Téne i celti continuarono a suonare certamente; gli ‘addetti ai lavori’ della musica erano i Bardi, dal gallico Bardos.
Molte sono le attestazioni letterarie di questi personaggi, spesso definiti poeti (così come i druidi sono definiti, dai greci, filosofi): il termine bardo compare nell’opera del grammatico narbonese Festo (34, 11), in quella di Lucano (BCiv. I, 449), in Timagene citato da Ammiano Marcellino (XV, 9, 8), in Diodoro Siculo (V, 31), da Posidonio (XXIII) da Ateneo (VI, 49), Strabone.
Diodoro Siculo li definisce propriamente ‘poeti lirici’ che accompagnano i loro canti (inni e satire) con la lira; per Strabone sono poeti e cantanti; Ammiano Marcellino (che riporta Timagene) dice che cantano accompagnati dalla lira le gesta degli uomini più illustri.
Sul canto degli uomini illustri ci informa anche Posidonio, Storie, XXIII:
‘Una volta che questo stesso principe (Luern) aveva dato un gran festino a data prefissata, un poeta di questi barbari arrivò troppo tardi. Egli dunque andò incontro a Luern con un canto in cui celebrava la sua grandezza ma deplorava nel contempo il ritardo di cui faceva ammenda. Divertitosi dei suoi versi, il principe domandò una borsa d’oro e la getto al poeta che correva al fianco del suo carro. Costui la raccolse e intonò un nuovo canto nel quale comparava le tracce lasciate dal carro del principe a dei solchi dove germinavano per gli uomini dell’oro e dei benefici‘.
Oltre alle attestazioni letterarie, l’epigrafia restituisce antroponimi derivati dal termine bardo-: al genetivo patronimico Bardi (filius o filia), dall’Austria, dalla Germani e dall’Italia (Miseno); inoltre sono attestati anche dei toponimi, attestati per esempio nei pressi di Milano: Bardomagus, ovvero ‘campo del bardo’
CIL V, 5872
Metilio / f(ilio) Ouf(entina) / [M]essori / [c]ollegium / [iu]mentario[rIorum)] / Portae / [Ve]rcellinae / [e]t Ioviae / [b(ene)] m(erenti) / [lo]c(us) dat(us) / ab / [p]ossessoribus / [vi]ci Bardoma[g(i)]
CIL V, 5878
C(aio) Petronio Iucu[ndo] / VIvir(o) sen(iori) / Petronia Myrsile patrono / quae HS CCCC leg(avit) possessoribus / vici Bardomag(i) in herm(am) / tuend(am) et rosa quodannis / ornandam
Il termine bardo compone poi anche il nome di un particolare capo d’abbigliamento gallico, il bardocucullus, attestato in Marziale e Giovenale, che sta a significare ‘cappuccio del bardo’
Marziale, XIV,128 Gallia Santonico vestit te bardocucullo.
Cercopithecorum paenula nuper erat.
[La Gallia ti mette addosso il cappotto dei Santoni.
Poco fa era un mantelluccio da scimmioni]
Marziale, I, 53
Urbica Lingonicus Tyrianthina bardocucullus
Giovenale, III, 8 “Si, nocturnus adulter,
Tempora Santonico velas adoperta cucullo.”
[o se di notte per le tue lascivie
col cappuccio dei Sàntoni
a celarlo ti copri il capo?]
Una volta parlato della figura del bardo, a livello archeologico chi è che suona nel mondo celtico, e quali sono le attestazioni materiali per il periodo laténiano?
Come già detto, in questo periodo le evidenze sono relativamente poche, ma ci sono. Però, a discapito di quanto farebbe credere la tradizione letteraria, è principalmente l’ambito militare a consegnarci strumenti musicali (corni e trombe da guerra) e quello numismatico, mentre rarissime sono i possibili riferimenti archeologici ai bardi. Per quanto concerne invece i reperti materiali (strumenti veri e propri), c’è davvero carenza al di là dell’ambito militare (i cosiddetti carnyx, trombe da guerra con testa zoomorfa).
Gli strumenti a fiato:
Datata V ac (ma ho trovato anche una datazione al IV), è questa statuetta in bronzo proveniente da Idria pri Baci (Slovenia), probabilmente equipaggiata secondo i modi hallstattiani e veneti dell’arte delle situle (certo ha in capo un elmo di tipo Negau, e l’abbigliamento con la tunica è effettivamente quello delle situle).
Come si vede, l’uomo ha le mani nella posizione di reggere qualcosa. Infatti, nella ricostruzione, ha nella mano destra un corno da segnalazione e nella sinistra regge uno scudo di tipo oplitico (aspis, come è rappresentato nelle situle), e ha una lancia forse appoggiata al braccio, inserita nel buchetto che si puù vedere.
A destra l’ipotetica ricostruzione:
Da Bormio (Valtellina) proviene la famosa stele con rappresentati due armati con insegne militari e scudi: uno di essi è nell’atto di suonare un corno:
la datazione di questo reperto è controversa e dibattuta tutt’oggi; qualcuno definisce la stele pertinente al V secolo ac (elmo tipo negau, cornuto, come nel caso sloveno qui sopra), altri propendono per il I ac, ma con la volontà di rappresentare guerrieri di un’altra epoca.
>>Le trombe da guerra – canryx:
Scrive Polibio, al riguardo della battaglia di Talamone (225 ac), II, 29, 6:
‘Il numero dei suonatori di corno e di tromba era infatti incalcolabile, e poiché l’intero esercito strepitava insieme a questi, si levava un clangore così forte e prolungato che sembrava che non soltanto gli strumenti e l’esercito, ma anche i luoghi circostanti emettessero dei suoni per l’effetto dell’eco‘.
(Polibio utilizza per gli strumenti i termini greci per buccina e salpnix)
Diodoro Siculo, V, 30, 2: ‘Hanno trombe di natura particolare e di tradizione barbara; infatti, quando vi si soffia dentro, emettono un suono aspro, appropriato al tumulto di guerra‘.
Le trombe di cui Polibio e Diodoro parlano sono i cosiddetti carnyx, nome derivante dal tardo greco per indicare un corno musicale di origine animale. Di tali oggetti, in bronzo, ottone (o entrambi come nel caso del carnyx di Deskford) ed addirittura in terracotta (la tromba celtiberica di Numancia) ne sono stati rinvenuti, frammentari, in diverse località dell’Europa.
Diverse sono le attestazioni iconografiche di queste trombe, che presentano tipoligie differenti a seconda del periodo e della zona di provenienza, ma tutte sono unite dall’avere il padiglione zoomorfo, cioà a forma di testa di animale.
La più antica rappresentazione di un carnyx zoomorfo proviene dal tempio dedicato ad Athena Nikephoros, sull’acropoli di Pergamo: il monumento venne fatto costruire da Eumene II (197 – 159 ac) per commemorare le vittorie sui galli galati riportate da suo padre, Attalo I negli anni 240-230:
come si vede, il fregio raffigura una panoplia gallica, con scudo ovale spinato, cotta di maglia, lancia e una tromba a testa di toro (visibile sulla destra in alto).
Attestazioni di trombe sono anche sull’arco di trionfo di Saint-Rémy-de-Provence, sull‘arco di Orange (fatto erigere da Augusto tra il 26 e il 27 ac), in cui spiccano tra scudi e lance galliche anche dei canryx; sull’armatura della statua di Augusto detta di Prima Porta, datata 8 ac circa, è rappresentata la Pannonnia pacificata come una donna con capo velato ed un carnyx in mano:
Augusto di Porta Prima
Arco di Orange
Ma forse, la pi famosa rappresentazione di suonatori di carnyx è quella dal calderone di Gundestrup, datato I ac, che presenta una sfilata militare con 3 uomini che portano alte le rispettive trombe, aventi la testa di cinghiale:
Diverse rappresentazioni di trombe provengono dlla numismatica gallica francese:
– denario serrato di M. Aurelius Scaurius, in cui è raffigurato Bituitos re degli Arverni su biga, nudo, con lancia e carnyx (118 o 92 ac):– moneta edua, emessa da Dumnorix, con guerriero che regge in mano un carnyx ed una testa tagliata, 50 ac circa:
– e diverse altre monete, specialmente britanniche, presentano fanti o cavalieri che reggono trombe da guerra.
Dall’oppidum boemo di Stradonice proviene un bronzetto datato I ac, raffigurante un uomo, nudo, con una tromba, molto probabilmente un carnyx:
Il più antico reperto definibile come carnyx è italiano, e proviene da una tomba cenomane datata (grazie al corredo) alla metà del III ac, proveniente da Castiglione delle Stiviere (questa è l’interpretazione di R. De Marinis):
lo strumento è composto da una testa ornitomorfa (di anatra o cigno, comunque un uccello acquatico), in lamina bronzea cava, e da un padiglione smontato, lungo e molto sciacciato. Il corpo del carnyx si presenta istoriato con una decorazione a sbalzo, tipica del terzo stile dell’arte celtica continentale (il parallelo, per esempio, è con i fregi bronzei della coeva brocca di Brno-Malomerice)
Qui mi limito a presentare la proposta che questo oggetto, rinvenuto assieme ad altri oggetti in lamina bronzea quali un paio di ali ed un’applique forse pertinente al petto di un volatile, sia effettivamente una tromba da guerra sul genere carnyx. Tale proposta è presentata da R. De Marinis ne La tomba gallica di Castiglione delle Stiviere (Mantova), contenuto in Notizie archeologiche bergomensi, vol. 5, 1997.
Aggiungo, per completezza che non è l’unica proposta interpretativa:
– il primo studioso della tomba, il prof. Paul Jachobsthal, a cavallo tra le due guerre vide nell’oggetto un bird-askos, cioè ad un askos (recipiente per contenere e versare piccole quantità di liquido, principalmente olio) dalla forma di uccello;
– un’altra intepretazione è quella di un oggetto cultuale, a forma di uccello acquatico: la proposta potrebbe essere cioè, che quella parte fungesse da base all’uccello. Tesi presentata da F.Hunter, in Reconstructing the Carnyx. The Antiquaries Journal 81/2001.
Datato II secolo è il frammento di carnyxrinvenuto a Mandeure (Francia), con testa a forma di cinghiale:
Sempre in Francia, negli ultimi anni gli scavi a Tintignachanno riportato alla luce importantissimi manufatti in bronzo, tra cui almeno 5 diversi carnyx, di cui uno a testa di serpente. I carnix dalla testa di cinghiale, quasi interi, presentano delle enormi orecchie (fino a 40 cm di lunghezza) comunicanti col tubo, che forse avevano anch’esse una funzione acustica:
I ritrovamenti di Tintignac sono importantissimi, in quanto i carnyx quasi integri danno informazioni sulla forma del canneggio (a terminazione dritta), del bocchino e permettono di interpretare la funzione delle ‘orecchie’: sparsi per l’Europa sono state ritrovate delle lamine di bronzo dalla forma ‘a foglia’, per le quali non si riusciva a comprendere né il significato né l’ipotetico uso, venendo definite col generico appellativo di appliques. Tali sono infatti le lamine da Abentheuer Hütte e Kappel (in Germania), da La Tène (Svizzera) e da Trento (su cui è recentemente uscito un articolo redatto da una studiosa locale, che ha dedicato molto tempo al riconoscimento dell’oggetto, esposto al museo del Castello del Buonconsiglio).
Dalla Scozia viene il fusto del carnyx di Tattershall, sfortunatamente smontato e praticamente distrutto dal suo scopritore. La datazione è all’inizio del I ac; la lughezza del fusto attualmente si aggira attorno a 1,30 cm (50 pollici).
Datato tra il 100 ed il 300 DOPO christo è il frammento (il padiglione) del secondo carnix scozzese, rinvenuto in un deposito di torba a Deskford, anch’esso con la testa di cinghiale e dagli enormi occhi. Il carnyx era in un deposito votivo, assieme ad altre offerte più ‘quotidiane’ quali ceramiche.
La particolarità di questo carnix è che, all’interno della ‘bocca’, è stata rinvenuta una linga lignea, che poteva muoversi mediante delle molle.
La datazione così tarda (in più è solo nel 1997 che è stato definitivamente identificato come carnyx) è dovuta al materiale con cui è costruito: lamina di bronzo ed ottone, materiale quest’ultimo che non è presente in Scozia. Pertanto si è dedottoc he fosse stato costruito con materiale romano di recupero.
Questo carnyx è stato ricostruito, ed ora viene utilizzato in concerto dal musicista John Kenny:
http://www.carnyxscotland.co.uk/index.php
Qui a sinistrale possibili ricostruzioni dei due carnyx scozzesi, a sinistra quello di Deskford ed a destra quello di Tattershall:
>>Le trombe da guerra celtiberiche:
Nella spagna celtiberica, i terribili guerrieri che Appiano (Iberiké, 97) definisce belve per la loro ferocia in combattimento, utilizzavano particolari trombe sonore, fatte in argilla:
queste due trombe (non hanno grandi dimensioni) provengono da Izana e da Numanzia(la seconda ha il padiglione a bocca di lupo).
Lo storico alessandrino Appiano, parla abbondantemente di queste trombe utilizzate già nel 140 ac (Iberiké, 78),; erano principalmente utilizzate nella particolare modalità bellica dei celtiberi, una sorta di guerrilla che i romani definivano concursus, cioè attacchi veloci con armi a getto, fughe repentine e ritorni, che sfiancavano i nemici e ne scompaginavano le fila.
>> I flauti:
Se gli strumenti a fiato più celebri dei celti laténiani furono (e sono) i canryx, essi non sono gli unici strumenti aerofoni che l’archeologia ci riconsegna: come visto all’inizio della parte legata alla cultura di La Téne, i bardi erano oltre che poeti anche musicisti, che accompagnavano il canto con la lira, i flauti e le siringhe.
Dalla necropoli di El Cigarralejo (Murcia, Spagna) proviene un vaso datato IV ac (definito La Téne II: questo mi fa problema, perché non conosco specificatamente la cronologia laténiana spagnola) con rappresentato un rito funerario:
Come ben si vede, al centro della reppresentazione sono un suonatore di lira (parrebbe a 4 corde) ed un suonatore di aulos (flauto doppio).
Sempre dalla Spagna (San Miguel de Liria, Valencia) viene un’altra rappresentazione di suonatori:
un suonatore di aulos ed uno di tromba che assistono ad un duello tra due guerrieri, uno armato di lancia ed uno di falcata.
Di flauti veri e propri, che io sappia ne sono stati ritrovati ben pochi, soprattutto in Inghilterra, come i due esemplari in osso provenienti dal villaggio lacustre di Glastonbury(all’apparenza con tre fori per le dita), o quello in osso ricavato da una tibia di pecora da Seaty Hill nello Yorkshire, datato tra il III ed il II ac:
Del primo secolo ac (considerati quindi strumenti gallo-romani) sono invece i bellissimi flauti di Pan costruiti con un unico pezzo di legno scavato:
quello proveniente da Alesia (Francia) presenta la ‘scatola’ incisa con motivi a compasso.
Questa la ricostruzione dell’Ensemble Bardos:
Un altro proviene da Eschenz (nell’Untersee svizzero), e misura 11 x 8 x 1,5 e presenta sette tubi scavati nel legno.
>> La lira:
I bardi suonano la lira, s’è detto all’inizio; nelle ceramiche celtiberiche compaiono suonatori di tale strumento. Ma rappresentazioni di tale strumento si trovano anche sulle monete celtiche del II e del I ac (ne metto solo un paio, come esempio):
rovescio di una motena d’oro (la foto è in b/n) dei Redones (popolazione che abitava la parte orientale dell’attuale Bretagna) datata II ac; sotto il cavallo è visibile una lira
moneta dei Coriosolites (anch’esso un gruppo celtico della Bretagna, vicini occidentali dei Redones) datata tra l’80 ed il 50 ac: sul rovescio è visibile una lira
statere d’oro degli Arverni (popolo gallico della Francia centrale), con lira
L’unica rappresentazione (che io conosca) statuaria di una lira, nell’ambito celtico continentale, proviene dalla Bretagna (da dove vengono, per lo più, anche le monete con tale strumento): una statuetta di 42 cm in pietra, rinvenuta assieme ad altre 3 statue a Paule sulla Côtes-d’Armor, e datata sulla fine del II ac.
La statua reppresenta un uomo, con al collo un grande torques a tamponi, che regge in mano una lira a sette corde.
Se la figura rappresentata sia una divinità o un bardo non è dato sapere, ma rimane una prova inconfutabile dell’esistenza della lira nel mondo celtico atlantico prima della romanizzazione.
>>Conclusioni:
Questi sono, per l’ambito celtico dell’età del ferro, gli strumenti musicali che le fonti letterarie, iconografiche e archeologiche ci forniscono.
Nella mia trattazione ho volutamente escluso l’ambito irlandese in quanto esso rappresenta una realtà molto particolare ed a sé stante all’interno della koinè celtica, ma questo non significa che non vi siano ritrovamente di strumenti musicali, soprattutto corni.
Principalmente, per questo testo, mi sono avvalso sell’ausilio dell’articolo La musica celtica di J.V.S.Megaw, contenuto nel catalogo I celti della mostra di Palazzo Grassi (1991). Qusto perché, per l’epoca, rappresentava una summa dei reperti e delle iconografie del mondo musicale celtico. Dico per l’ìepoca perché quell’articolo è, ovviamwente, datato: se le fonti iconografiche e letterarie sono bene o male le stesse, da allora moltissimi sono stati gli scavi che hanno portato alla luce nuovi reperti, anche legati al mondo della musica.
Se, inizialmente, il motivo che mi ha spinto a scrivere questo testo era quello di parlare della statua con bardo di Paule, al fine di spronare alla ricerca anche musicale la ricostruzione storica (celtica ed antica) italiana, con l’ampliarsi del lavoro, mi sono reso conto dell’importanza per le ricadute che può avere lo studio della musica nella storia antica. La musica è parte integrante della una cultura che la suona, ed uno strumento è portatore di informazioni: in che contesto veniva usato, perché quello strumento in particolare, chi erano i suonatori. Ma anche, uno strumento musicale, ci parla delle influenze che una cultura ha avuto nel suo sviluppo, oppure ci permette di proporre analogie e parallelismi (l’aulos etrusco deriva dal greco? o viceversa? oppure si sviluppano in maniera indipendente? per fare un esempio di possibili domande).
Io non sono né uno storico né un archeologo né tantomeno un musicologo, ma solamente un appassionato di storia antica, un ‘hobbysta’ per così dire; ma mi permetto comunque di tirare le somme a quanto scritto. Se qualcuno è in cerca di risposte certe sulla musica deigli antichi celti non si aspetti nulla, semplicemente scriverò qualcosa di simile dai Pensées di Pascal:
– se la cultura di Hallstatt e l’arte delle situle ci forniscono per il VI e V secolo rappresentazioni di suonatori in contesti di simposio e rituali, queste però sono delimitate ad un’area geografica ben definita, cioè quella della mitteleuropa e dell’Italia nord-orientale; sarebbe però un errore credere che nel resto dell’Europa celtica non si suonasse musica. E’ un fatto che, nonostante in innumerevoli luoghi (tombe o depositi), si siano preservati oggetti in materiale deperibile (legno, cuoio, osso), questi manufatti non siano che una goccia rispetto alla totalità degli oggetti in tali materiali che non sono arrivati fino a noi: dalle prove iconografiche viene che la maggior parte della strumentazione fosse in legno o osso, materiale oragnico che nel tempo (se non conservato in luogo anaerobici) di deteriora. Pertanto è possibile e niente affatto contraddittorio credere che la cultura celtica del VI e V ac (ed anche prima), anche al di fuori della cultura propriamenti di Hallstatt suonasse strumenti;
– i ritrovamenti di carnyx riguardano principalmente oggetti volutamente deposti, ‘sacrificati’ in pozzetti votivi o depositi: è, per esempio, il caso del carnyx di Deskford, volutamente mutilato, o quello del deposito di canryx ed altri oggetti bronzei a Tintignac. Sono, cioè, oggetti volutamente abbandonati per via del loro valore intrinseco (il metallo in primis) e simbolico. Diversamente da flauti o lire (costruiti in legno o osso), il metallo permette una maggior durata. Questo è un dato scontato. Ma da questo mi permetto di sottolineare che se, come visto, durante il periodo La Téne questi oggetti sono i protagonisti principali dell’archeologia (è indubbio che sono gli oggetti musicali più famosi e, all’ottobre 2009, numericamente consistenti) e nelle fonti iconografiche, lo dobbiamo proprio al loro essere oggetti in metallo e deposti volutamente. Difficilmente una siringa o un aulos (già in partenza svantaggiati per il loro materiale) potevano essere deposti in santuari o luoghi cultuali; aggiungo che non si conoscono tombe ad inumazione laténiane con deposti strumenti musicali (per esempio una lira), ma si conosce una tomba (Castiglione delle Stiviere) con una tromba da guerra, che è sempre uno strumento musicale ma di una particolare natura. E la tomba principesca tardohallstattiana sul fiume Grafenbuhl (Hohenasperg, Germania) col suo sonaglio cerminoniale etrusco in ferro e placchette di bronzo non ci viene in aiuto;
– confrontando il lutuo etrusco e il canryx gallico ci si rende conto che i due strumenti non sono poi molto dissimili;
– come nell’arte delle situle, sulle ceramiche ungheresi sono attestati suonatori di strumenti a fiato (siringhe, auloii) così, s’è visto, anche durante il La Téne sono attestati archeologicamente questi strumenti. Che si trovano in tutto il mediterraneo, per non dire in tutto il mondo antico, dall’Inghilterra alla Spagna, Grecia, Siria ecc. Strumenti che, seppure nel relativamente bassissimo numero dei ritrovamenti, hanno sempre accompagnato la cultura celtica;
– seppure diversi autori parlano dell’importanza della figura del bardo, nelle fonti iconografiche (sia classiche che celtiche) non c’è quasi presenza di questa figura. Questo viene contraddetto solamente dalla statua con lira di Paule e, se possiamo definirli tali, dai suonatori dell’arte delle situle (sempre seduti);
– se ci fermiamo all’iconografia classica (altare di Pergamo, serie statuaria della galatomachia: galata morente) i soli strumenti musicali celtici sono le trombe da guerra; questo però ha per noi un grande valore: i greci, in questo caso, avevano colto il valore guerriero del celta. Quando nel galata morente inseriscono la nudità, la tromba (in questo caso una buccina, che per loro era comunque barbara) e la spada (non certamente gallica) esprimono qualcosa che è profondamente legato al combattente celtico. Qui la nudità io non la vedo tanto legata al combattere nudi dei gesati, quanto ad una incredibile prestanza fisica ed ad una profonda consinzione di sé dei celti in battaglia;
– sicuramente i galli vennero influenzati da romani, etruschi e greci (ed i celti pannonici e balcanici anche da sciti e traci?) anche dal punto di vista musicale: ma come? ci furono veri e propri scambi di strumenti come ci furono scambi di tecniche belliche e scientifiche? I flauti di Pan in un solo blocco (come quello di Alesia) sono degli alieni nel mondo laténiano vero e proprio, importati da Roma? Certo è che i pochi ritrovamenti in ambito gallico sono databili alla metà del I ac. Ma la mancanza ad oggi di tali strumenti in epoca anteriore non ci permette una definizione precisa. Se non che tale modello di flauto compare nella statuaria alessandrina legata a Bacco e Sileno;
– molto della strumentazione classica ci viene non da reperti archeologici, ma da fonti letterarie e soprattutto da quelle iconografiche (pitture, mosaici); sfortunatamente per il mondo celtico, che non scrive se non in determinati casi e che non affresca le proprie dimore, questo non è possibile;
– quelle che oggi definiamo ‘arpe celtiche’ non appartengono evidentemente alla strumentazione in dotazione dei suonatori dell’età del ferro: esse infatti sembrano comparire solo dal IV secolo DOPO christo.
Ecco, ad ora queste sono le conclusioni e le domande irrisolte che mi saltano alla mente dopo avere scritto questo testo. Sicuramente non sono esaustive, come non è esaustivo il testo in sé: non è propriamente una summa dei reperti archeologici né iconografici né delle fonti letterarie legati alla musica della cultura celtica; né tantomeno lo è per l’ambito più allargato della musica antica. Permette però di avere una aggiornata panoramica di quello che è ‘lo stato dell’arte’ ad oggi. Molto probabilmente non passerà una nottata che altre domande si affolleranno.
Il mio testo è principalmente rivolto a coloro che si interessano di ricostruzione storica e cercano informazioni ed immagini di reperti musicali al fine di una sempre più corretta ed approfondita ricerca storica, volta alla riproposizione adeguata della vita celtica dell’età del ferro.
>>Bibliografia:
– La musica celtica di J.V.S. Megaw, in I celti, catalogo della mostra di Palazzo Grassi (1991);
– Guerrieri principi ed eroi fra Danubio e il Po dalla Preistoria all’Alto Medioevo, catalogo della mostra al Cstello del Buonconsiglio di Trento, 2004;
– Situlen Bilderwelten zwischen Etruskern und Kelten auf antikem Weingeschirr, 2009 (è la pubblicazione n. 8 dell’archeoparco di Belginum e n.2 di quello di Manching) per la parte dedicata all’arte delle situle;
– La tomba gallica di Castiglione delle Stiviere (Mantova) di R. De Marinis, contenuto in Notizie archeologiche bergomensi, vol. 5, 1997;
– Il guerriero, l’oplita, il legionario di G. Brizzi, 2002, per alcune inforrmazioni sui guerrieri celtiberi e per la citazione di Appiano;
– Les religiones gauloises (V-I siècles av. J.-C.) di J.-L. Brunaux, 2000 per alcune informazioni in merito ai bardi;
– I druidi di F.Le Roux e C.J. Guyonvarc’h, 2000 per le notizie sulle citazioni del termine bardo;
– El vaso de los guerreros de El Cigarralejo (Mula, Murcia) di José María Blázquez, in Studia E. Cuadrado, AnMurcia, 16- 17, 200 1-2002, págs. 171 – 176 per le informazioni in merito al vaso con suonatori da El Cigarralejo;
– Apròximacion a la danza en la antiguedad hispana. Manos entrelazadas di Raquel Castelo Ruano, in Espacio, Tiempo y Forma, Serie II, H.” Antigua, t. 3, 1990, págs. 19-42 per le informazioni in merito al vaso di San Miguel de Liria.