et Ligures durum in armis genus (Livio XXVII 48, 10)
Questo contributo si inserisce all’interno del progetto Ligures Veleiates dell’Associazione Popolo di Brig e vuole essere, oltre che uno studio – senza pretesa di esaustività – dell’armamento del fante ligure tra III e II secolo a.C., una resocontazione dell’equipaggiamento adottato dal gruppo stesso in ambito rievocativo – www.popolodibrig.it
Adversus Ligures tunc primum exercitus promotus est.
[238 a.C.] Allora per la prima volta fu inviato un esercito contro i liguri.
Livio, Periochae 20
Nel 238 a.C., secondo Livio, Roma mosse ufficialmente guerra contro le popolazioni liguri; Livio non specifica esattamente a quale popolo ligure Roma mosse guerra, ma con molta probabilità si trattava dei liguri a stretto contatto col territorio della costiera toscana-ligure fino al Portus Lunae ed al Fiume Magra, con i quali venne a contatto per via dell’ingresso nella sua orbita della città etrusca di Pisa (in un territorio che per diversi autori antichi era precedentemente stato abitato dai liguri: Polibio, Pompeo Trogo Pseudo Aristotele, Livio): i Liguri Apuani.
Roma però conosceva già la tenacia dei guerrieri liguri almeno dalla Prima Guerra Punica, mentre il mondo punico ne apprezzava il valore di mercenari fino almeno dall’inizio del V a.C., quando stando ad Erodoto (VII, 165) vennero impiegati da Amilcare I nella battaglia di Imera del 480 a.C., per poi usarli nel corso delle successive guerre in tutto il Mediterraneo occidentale.
E’ a partire però dal III secolo, con la fatidica dichiarazione di guerra romana, che i Liguri entrano con veemenza nelle fonti letterarie latine, anzitutto come nemici degli eserciti consolari (i Liguri orientali combatterono ininterrottamente contro Roma dal 238 fino alla definitiva sconfitta ad opera di Claudio Marcello nel 155 a.C., ma nel sud della Francia e nelle zone alpine fu solo con Augusto che Roma riuscì a domare quelle genti) e mercenari cartaginesi (reparti liguri combatterono a Zama assieme ad Annibale) e, successivamente, come ausiliari romani nelle guerre macedoniche (ruolo importante ebbero nella battaglia di Pidna) fino alla guerra contro Giugurta del 112-105 a.C..
In questo piccolo contributo si cercherà di approfondire la panoplia del guerriero Ligure Orientale tra III e II secolo a.C. (Ligure III B e C), cioè l’equipaggiamento del guerriero delle tribù liguri stanziate nel territorio compreso tra la Val di Vara e Magra ad ovest, il fiume Po a nord, Pisa a sud e Pistoia e l’appennino bolognese ad est (tracce liguri sono riscontrabili nell’abitato di Monte Bibele). Si tratta cioè di quei popoli che sono ricordati nelle fonti romane con i nomi di Apuani, Eleiati/Veleiati, Ilvati, Friniati, Celeiati e Cerdiciati.
La scelta di focalizzare l’interesse sulla propaggine orientale della Liguria rispetto all’intera “Ligustiké” (Eratostene) è collegata esclusivamente all’interesse personale dello scrivente verso quei Liguri che abitarono quel territorio; Liguri che, seppure influenzati dalle culture di Golasecca, Etrusca, Lateniana e Romana, non persero la propria identità se non dopo un processo di romanizzazione lungo oltre un secolo, dopo guerre e deportazioni e che nonostante l’adozione di alcuni aspetti allogeni (si veda per esempio l’adozione come contenitore per le ceneri ed ossa incombuste dell’anfora tagliata al posto del tradizionale vaso ossuario, oppure alcuni elementi della panoplia celtica lateniana, in ambito bellico), mantennero fino al I a.C. elementi peculiari della propria cultura (un esempio è la tompa a cassetta litica femminile rinvenuta a Luceria (RE), nel cui corredo risalta la fibula in argento ad arco foliato tipica del mondo ligure orientale, in un contesto di piena romanizzazione). Liguri che vennero sempre ricordati dalle fonti solo e soltanto come “Liguri” e non con termini ibridi come accadde in altre zone della “Grande Liguria”, soprattutto nel sud della Francia: basti pensare alla confusione terminologica che in un solo secolo si venne a creare tra gli autori antichi verso popoli come Salluvi/Salui/Salii, Taurini, Laevi che, profondamente celtizzati negli usi, sono prima definiti da Polibio come Liguri e successivamente come “semigalli” (Livio sui Taurini) o “celtoliguri” (Strabone sui Salluvi).
La stele rinvenuta a Lerici nel 1992 è un importantissimo documento per quanto concerne la panoplia del guerriero ligure d’élite tra VII e VI secolo a.C.: spada ad antenne di tipo Hallstattiano, giavellotto (coppia?), lancia, elmo a calotta (cfr. l’elmo rinvenuto a Cuneo), scudo tondo (non è chiaro se aspis o parma in bronzo di tradizione villanoviana orientalizzante), probabilmente un paio di cnemidi. Come vedremo, però, questa situazione cambia quasi radicalmente se si osserva la panoplia ligure tra III e II secolo, periodo in cui, oltrea ad un sostanziale depauperamento dei corredi, i nuovi influssi lateniani e romani modificano parte dell’armamento.
La panoplia ligure
I Liguri hanno un armamento di assetto più agevole di quello dei Romani. Li protegge infatti uno scudo oblungo foggiato alla maniera gallica e una tunica raccolta da una cinghia; si ravvolgono in pelle di animali selvatici additandoci una spada su misura. Taluni di essi tuttavia, da quando fanno parte dello Stato romano, hanno modificato l’armamento rendendosi simili ai dominatori. Sono intrepidi ed hanno maschia prova della loro stirpe non solo in guerra ma anche e proprio nelle circostanze della vita che implicano terribili confronti.
Diodoro Siculo, Biblioteca, V, 39, 1-8
I Romani resistevano accanitamente con l’aiuto del loro piccolo scudo e degli scudi oblunghi dei Liguri (Λιγυστικών θυρεών)
Polibio XXIX 14, 4
Non sono affatto abili, nelle campagne militari, come cavalieri, ma sono abili opliti e veliti; dal fatto che portano scudi di bronzo, alcuni deducono che siano Greci.
Strabone IV 6, 2
Le truppe ausiliarie del re combattevano meglio da lontano con armi da getto; i Romani erano più saldi e più sicuri da vicino grazie allo scudo rotondo o allo scudo ligure.
Livio XLIV 35, 19
un nemico armato alla leggera, quindi veloce e mobile, che non permetteva, in nessun luogo, di trovare un momento di tranquillità o una posizione sicura.
Livio XXXIX I, 6
Le fonti che parlano dei guerrieri liguri ci riportano all’unisono di un equipaggiamento leggero (hostis levis per Livio) adatto al combattimento in luoghi montani ed impervi, fatto di scaramucce repentine, ma anche agli scontri in campo aperto: grazie all’abitudine alla fatica ed all’asprezza della geografia dei loro luoghi, sono sempre le fonti latine che ne segnalano la grande capacità di resistenza nel corpo a corpo, probabilmente il metodo di combattimento da loro prediletto. Nelle fonti infatti i liguri arrivano sempre al brutale scontro ravvicinato, in cui dimostravano grande tenacia:
All’alba fece una sortita simultanea da due porte. Ma i Liguri non furono respinti al primo assalto, come egli aveva sperato; per più di due ore sostennero una lotta di esito incerto.
Livio XXXVI 38, 1
Si combattè per più di tre ore senza che nessuna delle due parti potesse nutrire speranza di vittoria
Livio XLII 7, 3
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L’armamento difensivo
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L’elmo
Qui vi sono le spoglie dell’Eacide, qui le insegne dell’Epirota, gli ispidi cimieri
dei Liguri, i rozzi scudi portati dalla popolazione ispana, e i giavellotti alpiniSilio Italico I, 627, 629
L’elmo in metallo, in ambito ligure è certamente oggetto di prestigio, rimanendo appannaggio dell’élite militare: in linea con i secoli precedenti, in cui si concentrano principalmente in contesti di forte egemonia etrusca come l’emporio di Genova, anche nel periodo ellenistico i rinvenimenti di elmi rimangono scarsi e sporadici. L’unica tipologia attestata tra III e II a.C. sembra essere quella Montefortino, sia in bronzo (esemplari da Pegazzano, quelli frammentari da Minazzana e Val di Viana, Ameglia, t. 1 e t. 5 di Pulica, Casaselvatica, Croce di Stazzana) sia nella variante in ferro con appliques bronzee (attestati in tre esemplari ad Ameglia); sono presenti le tipologie con paragnatidi trilobate e con paragnatidi falciformi (rispettivamente tipo B e C del Coarelli). Adriano Maggiani propone un confronto tra il frammento dell’elmo rinvenuto a Val di Vaiana (LU) con l’elmo di casa Pallotti a Bologna, segnalando qundi l’appartenenza del primo alla tipologia D.
Per una maggior trattazione degli elmi cornuti in Italia si veda l’articolo sulla sepoltura di Casaselvatica.
Caso a parte è il copricapo conico, quasi certamente in materiale organico, rappresentato su di un ciottolo rinvenuto a Dogliani, nel cunese, di cui si parla diffusamente qui; in questa sede basterà ricordare quindi la presenza di copricapi conici, prodotti in materiale organico, attestati tra la media età del ferro ed il primo secolo a.C. (fregio dell’Arco di Cozio).
Lo scudo
Sono poche le fonti che ci parlano dello scudo ligure, ma tutte convergono sulla tipologia: scudi oblunghi dei Liguri (Livio), scudo oblungo foggiato alla maniera gallica (Diodoro). Il termine utilizzato è infatti “θυρεός” (thyreós, letteralmente a forma di porta) indicante lo scudo a tavola oblunga, spinato (il termine non indica sull’uso o meno della protezione metallica), presente in Italia anche in ambito gallico lateniano, etrusco e sannita.
Non emerge, dalle sepolture, nessuna indicazione della presenza di scudi: i motivi di tale mancanza sono imputabili in primis all’uso dell’incinerazione dei defunti, che non preserverebbe i resti lignei dello scudo, ed alla selezione degli oggetti personali inseriti nella sepoltura stessa. Non va però dimenticato che non compare mai, quantomeno nell’areale preso in considerazione, l’umbone metallico atto a rinforzare la resistenza della tavola: non è stato rinvenuto nessun esemplare, nemmeno deformato dalle fiamme della pira. Questo potrebbe pertanto essere sintomatico del non uso da parte dei guerrieri liguri orientali di tale applicazione allo scudo; l’umbone compare invece in quei territori fortemente ibridati con la cultura celtica lateniana, in cui l’armamento è quasi eslusivamente di tampo celtico: è il caso della tomba 22 della necropoli di Garlasco-Bezzole in Lomellina, un territorio a nord del Po in cui si assiste a quella sovrapposizione cultura di cui si parlava in precedenza (per Livio e Plinio i Laevi che abitavano nella zona erano Liguri, per Polibio erano celti) ed in cui compaiono accanto a materiali eminentemente liguri (come i bottoni in bronzo e la ceramica) materiali lateniani.
Un possibile indizio iconografico sullo scudo ligure potrebbe essere quello del fregio del monumento di Emilio Paolo a Delfi, celebrante la vittoria del console su Perseo a Pidna del 22 giugno 168 a.C.; nel fregio compare la narrazione della battaglia, dal suo inizio dovuto alla fuga di un cavallo dell’esercito romano (lato N-O del monumento) fino alla sconfitta dei macedoni. Per noi è molto importante un pasasggio di Plutarco, in cui si segnala che lo scontro venne iniziato con la carica degli auxilia liguri (che erano già arruolati in numero di 2.000 all’inizio della terza guerra macedonica):
Alcuni dicono che nel pomeriggio, per un artificio escogitato dallo stesso Emilio in modo da far muovere a battaglia per primi i nemici, spinto innanzi un cavallo senza briglie i Romani lo lanciarono contro di loro, e l’inseguimento del cavallo diede inizio all’attacco: secondo altri invece i Traci, di cui era al comando Alessandro, attaccarono le bestie da soma dei Romani mentre trasportavano foraggio ed in risposta vi fu l’immediata carica di settecento Liguri.
Plutarco, Le vite di Emilio Paolo e Timoleonte XVIII
La lettura della narrazione parte dalla parte centrale del lato lungo, in cui compare il cavallo (o ὑποζυγίων, bestie da soma) che sfuggito (forse volutamente) diede inizio allo scontro che degenerò nella battaglia. Sulla destra del cavallo, sono due guerrieri che incedono con lancia e altissimo scudo incontro alle truppe macedoni e che si differenziano rispetto ai legionari e cavalieri (equipaggiati con una ben visibile lorica hamata) per il fatto di essere a torso nudo. Se colleghiamo quindi la segnalazione della carica dei settecento liguri che diede inizio allo scontro con l’ordine cronologico rappresentato nella narrazione della battaglia sul fregio ed al frammento polibiano, sempre collegato alle guerre macedoniche, sugli scudi oblunghi liguri, possiamo quindi a buona ragione vedere in quei due guerrieri la rappresentazione di quegli ausiliari liguri che combatterono per Emilio Paolo solo pochi anni dopo dalla loro sconfitta proprio ad opera del console stesso.
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Foto di Events & Kultur am Ipf, 2016
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Foto di Michael Rau, 2016
La cintura:
Uno dei grossi problemi per la ricostruzione dell’abbigliamento ligure è la quasi totale assenza di cinture (ganci) nelle sepolture: i rinvenimenti collegati alla cintura o provengono nella maggior parte dei casi da contesti femminili (si tratta dei famosi ganci triangolari e delle borchie applicate a cinture in materiale organico) oppure si tratta di ganci per il sistema sospensorio della spada di tipo lateniano.
Un rinvenimento versiliese, però, potrebbe permettere di ricostruire una tipologia di gancio da cintura del guerriero ligure: si tratta di un oggetto frammentario, in ferro, rinvenuto in una tomba a cassetta della metà del III a.C. da Vado di Camaiore (LU), in cui Adriano Maggiani ravvisa un gancio da cintura a losanga, con appendici laterali e gancio ad uncino. Si tratterebbe di un oggetto unico nel panorama ligure, soprattutto in quel periodo: ad oggi l’oggetto troverebbe raffronti in ganci da cintura più antichi, tipici del mondo hallstattiano fino agli inizi del V a.C..
Saremmo quindi davanti ad hunicum, per il quale l’idea del “cimelio di famiglia” non andrebbe esclusa : in ambito ligure è un uso non ricorrente ma in rari casi attestato, per esempio nella necropoli di Ameglia dove in contesti di fine IV è presente del bucchero. Rimane però l’uso del condizionale: la scelta da parte dello scrivente di adottare questo gancio è legata alla volontà di una maggiore eterogeneità nell’abbigliamento ligure in ambito rievocativo.
La riproduzione del (possibile) gancio da cintura in ferro da Vado, montato su una cintura in cuoio decorata con motivi derivati dalle corna in lamina dell’elmo di casaselvatica:
L’armamento offensivo:
L’arma preferita: la lancia
In linea con tutto il modo antico, anche nel mondo ligure l’arma principe è la lancia da urto: dalle cuspidi lunghe oltre i 45cm rinvenute a le Grazie di Saturnana, a Casaselvatica di Berceto o ad Ameglia, fino alle cuspidi estremamente corte (tra i 15 ed i 25 cm) rinvenute a Pulica, si tratta dell’elemento della panoplia più comune nelle sepolture, in cui spesso rappresenta l’unica arma deposta, come nella sepoltura di monte Bardellone di Levanto (indicatore, questo, dei ruoli all’interno dell’organizzazione militare ligure o, anche, della ricchezza del proprietario della sepoltura o della sua età).
e la spada celtica
Con la massiccia presenza in Italia (e gli spostamenti migratori nel sud della Francia che porteranno alle ibridazioni dei “celto-liguri”) delle genti lateniane, dal IV secolo a.C. in avanti, si assiste ad un processo che riguarda tutta la “Grande Liguria”, da est ad ovest: l’adozione della spada lateniana a doppio tagliente, con fodero in ferro e sistema di sospensione (dal III a.C. si assiste anche alla comparsa massiccia della fibula lateniana di schema medio La Tène accanto alla fibula tipo Certosa e Ticinese tarda ed alla fibula ad arco foliato/apuana).
Va precisato che nonostante l’adozione della spada lateniana la presenza del sistema sospensorio (anelli in bronzo oppure catena) non è cosa comune nelle sepolture liguri: i casi rari sono ad Ameglia – in cui il sistema sospensorio è composto dai classici anelli in bronzo -, a Tombara di Pariana (in cui compare anche un altro oggetto inusuale: un bracciale ad ovuli lateniano, canonicamente un oggetto femminile) e la t. 1 e t. 5 del sepolcreto di Pulica.
Dal reggiano prevengono due importanti contributi allo studio dell’armamento ligure:
– nella sepoltura maschile in cassetta litica rinvenuta a Villa Baroni di Roncolo (Quattro Castella) la cuspide di lancia, è associata ad un lungo coltello ad un solo tagliente, dal profilo molto affusolato, che non parrebbe trovare cronfronti diretti con altri coltelli rinvenuti in contesti liguri coevi – datazione compresa tra il 250 ed il 180 a.C.
– di recentissimo “rinvenimento” è la splendida spada lateniana proveniente dalla sommità del monte Valestra, luogo in cui è emerso un insediamento ligure affine ai coevi insediamenti apuani: con puntale sovradimensionato ascrivibile alla tipologia Kosd/Hatvan Boldog (tipologia datata tra la fine del IV e il primo quarto del III a.C.), la spada trova confronti ad Ameglia e soprattutto nel sepolcreto boico di Monte Tamburino a Monte Bibele (BO), in cui con grande probabilità venne creata.
Un caso particolare è quello della sepoltura maschile delle Grazie di Saturnana (Pistoia), emblematico dell’ambito apuano interno, dove al posto della spada lateniana troviamo una corta spada della lunghezza di 47cm, datata alla metà del III a.C. che per alcuni (Giulio Ciampoltrini in primis) è riconducibile per forma alla corta spada spagnola coeva (all’origine del gladius hispaniensis). Tali tipologie di armi corte, un confronto sembra essere quello con la t. 1 di Tereglio (LU), parrebbero essere sintomo di un armamento più vicino all’ambito centro-italico/piceno/sannita con corte lame, adatte al combattimento a stretto contatto.
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Foto di Leonardo Mattioli dall’evento La battaglia del Metauro – Ad Pugnam Parati 2015.
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Foto di Leonardo Mattioli dall’evento La battaglia del Metauro – Ad Pugnam Parati 2015.
La frombola:
Si dice poi che alcuni Liguri tirano con la fionda così bene che, quando vedono parecchi uccelli, stabiliscono tra di loro quale ciascuno debba prepararsi a colpire, perché sono convinti di colpirli facilmente tutti.
Pseudo-Aristotele, De mirabilibus auscultationibus 89 (837 b)
Una delle armi più semplici e diffuse è la frombola, arma da lancio di semplicissima costruzione, utilizzata anticamente sia nell’attività venatoria sia in quella bellica. Se le fonti non ci riportano dell’uso di tale strumento nelle loro battaglie, sono però i rinvenimenti archeologici a segnalarcene l’uso massiccio in contesti liguri (più difficile è capire se dalla parte romana o ligure): rinvenimenti di ghiande missili provengono da diversi contesti insediativi delle Alpi apuane.
Il giavellotto:
Il giavellotto fa parte dell’armamento ligure da tempo immemore, attestato a partire dalle più antiche statue stele della Lunigiana (tipo A) fino alla stele di Lerici (un riuso datato al VI a.C.). Nel periodo esaminato, però, diversamente dalla lancia – che compare nelle sepolture liguri in grande numero – il giavellotto parrebbe essere oggetto più raro: questa situazione è da imputare principalmente al fatto che, in mancanza del tallone, risulta difficile stabilire se si sia in presenza di una cuspide di lancia o di giavellotto.
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Foto di Leonardo Mattioli dall’evento La battaglia del Metauro – Ad Pugnam Parati 2015.
Il progetto Ligures Veleiates dell’Associazione Popolo di Brig:
Le insegne:
furono anche prese cinquantuno insegne militari
Livio XLI 12, 7
Quando il console si accorse che le insegne dei Liguri non si muovevano in nessuna direzione […] ottantadue insegne militari furono conquistate.
Livio XLII 7, 3
Oltre alle saltuarie citazioni di Livio (che parla di vexilla, signis, signa militaria, senza però mai addentrarsi in una descrizione), che ne attestano l’uso in ambito bellico da parte dei Liguri, non abbiamo informazioni su come potessero essere le insegne militari, né per materiale né per foggia. Se nel mondo celtico rappresentazioni e rinvenimenti di insegne militari sono comuni (i rinvenimenti di insegne a forma di cinghiale e le rappresentazioni sugli archi di trionfo e monete sono innumerevoli), la lacuna per il mondo ligure si ricollega alla mancanza di iconografia, che ci priva così di fonti che permettano di approfondire l’argomento.
Potrebbe essere un’insegna militare il cighiale in lamina di bronzo rinvenuto nel comune di Ilonse (dipartimento francese delle Alpes Maritimes) e datato per confronti stilistici al I a.C.; in mancanza di indizi sull’oggetto, vale la pena ricordare che la zona era abitata da popolazioni di cultura ligure: se per gli autori antichi da Eschilo in poi (nel Prometeo liberato Eracle combatte con l’aiuto del padre i liguri alle foci del Rodano) fino a Polibio (XXXIII, 8), che ne parla in merito alla guerra tra Roma ed i popoli degli Ossibi e Deciati del 155-154 a.C., certo è che alcuni dei 46 popoli di cui si parla nel Tropaeum Alpium augusteo, eretto tra il 7 ed il 6 a.C., sono di stirpe ligure (quei Ligures Capillati di cui parla Plinio elencando i popoli liguri in ordine, partendo da Nizza fino al fiume Magra, che abitano proprio le Alpi Marittime).
Si tratta solamente di una suggestione, collegata alla zona di rinvenimento, che non può autorizzarci a vedere in questo oggetto una similitudine con le insegne di cui ci parla Livio: se è vero che i popoli ricordati da Plinio nel trofeo augusteo sono ancora ricordati come “Liguri”, siamo in presenza di una realtà fortemente ibridata se non pienamente “celtizzata”, in cui non deve apparire strano ritrovare oggetti tipici dei galli francesi coevi. Ossia: potrebbe realmente trattarsi di un’insegna militare, ma afferire ad un mondo (oramai prossimo alla romanizzazione) totalmente ibridato col mondo celtico, in cui la componente ligure è quasi solo un retaggio del passato, una sorta di “rimembranza” atavica, più nominale che di fatto.
La Lege sacrata dei Liguri Apuani:
Livio, nella sua Storia di Roma, parla profusamente delle guerre tra Roma e le genti Liguri; nel 191, un esercito si Liguri assalì l’esercito del proconsole Minucio:
Circa nello stesso tempo i Liguri, riunito un esercito con uno speciale giuramento sacro (lege sacrata coactu exercitu), di notte all’improvviso assalirono l’accampamento del proconsole Q. Minucio. Minucio fino all’alba trattenne i soldati schierati entro il vallo, preoccupato di evitare che il nemico superasse le difese. All’alba fece una sortita simultanea da due porte. Ma i Liguri non furono respinti al primo assalto, come egli aveva sperato; per più di due ore sostennero una lotta di esito incerto. Alla fine, poiché sempre nuove schiere uscivano all’attacco, e soldati freschi succedevano a quelli stanchi nel combattimento, i Liguri, sfiniti tra l’altro anche per la veglia, si diedero alla fuga.
Tito Livio XXXVI 38, 1
Il termine Lege sacrata rimanda a quella lex sacrata di cui sempre Livio parla (X, 38), a cui sono sottoposti i giovani sanniti che formeranno la Legio Linteata, dedicando la propria vita (devotio) con solenne giuramento alla difesa della propria nazione, pena la morte (diversi giovani, rifiutatisi di prestare giuramento, vengono barbaramente uccisi ed i corpi lasciati a monito).
Esattamente come non consociamo il tipo di giuramente sannita, nulla sappiamo del giuramento ligure di cui parla Livio, lasciando però aperta la possibilità di una sorta di giuramento solenne, da parte dei membri delle diverse gentes/tribù liguri, innanzi alle divinità del pantheon ambronico, di reciproco supporto nella guerra. Ma di più non è dato sapere.
Andrea Guareschi
Bibliografia ragionata:
– Luana Kruta Poppi, La sépulture de Casa Selvatica à Berceto (prov. de Parme) et la limite occidentale du faciés boïen au IIIe siècle av. n. è., in Études Celtiques, XVIII (1981), pp. 39-48
– Daniele Vitali (a cura di), Celti ed etruschi nell’Italia centro-settentrionale dal V secolo a.C. alla romanizzazione. Atti del colloquio internazionale, Bologna, 12-14 aprile 1985, Bologna University Press, Bologna (1987)
– Daniele Vitali, Celti e Liguri nel territorio di Parma, in Storia di Parma, a cura di D. Vera, MUP, Parma (2009), pp. 147-180
– I Liguri. Un antico popolo europeo tra Alpi e Mediterraneo. Catalogo della mostra, Skira (2004)
– Manuela Catarsi dall’Aglio, La seconda età del ferro nel territorio parmense, in Ligures celeberrimi. La Liguria interna nella seconda età del ferro. (Atti del convegno internazionale. Mondovì, 26 – 28 aprile 2002), Bordighera (2004), pp. 333-350
– Anna Durante, Corredi tombali con elementi tipo La Tene dal sepolcreto di Ameglia, in Celti ed Etruschi nell’Italia centrosettentrionale dal V secolo a.C. alla romanizzazione, Colloquio internazionale (D. Vitali, a cura di), Bologna, 1985 (1987), pp. 415-436
– Ligures celeberrimi. La Liguria interna nella seconda età del ferro. Atti del Congresso Internazionale (Mondovì, 26-28 Aprile 2002), Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera (2004)
– Emanuale Paribeni (a cura di), Guerrieri dell’età del ferro in Lunigiana. Catalogo della mostra, Edizioni Giacché, La Spezia (2007)
– Marta Mazzoli, Die ligurisch-apuanische Nekropole von Pulica: Die Bewaffnung aus den Gräbern 1 und 5, in Kelten! Kelten? Keltische Spuren in Italien, Martin Schönfelder | RGZM
– Federico Frasson, Addita auzilia, Ligurum duo milia… Gli ausiliari liguri negli eserciti romani del II secolo a.C., in AMSSSP n.s. 47 (2011), pp. 5-26
– Federico Frasson, Il guerriero ligure nei frammenti di Posidonio di Apamea, in F. GAZZANO-G. OTTONE-L. SANTI AMANTINI (a cura di), Ex fragmentis / per fragmenta historiam tradere. Atti della Seconda Giornata di studio sulla storiografia greca frammentaria, Genova, 8 ottobre 2009, Tivoli (2011), pp. 147-157
– Federico Frasson, La battaglia di Pidna nel racconto di due testimoni. A proposito di alcuni frammenti di Scipione Nasica e Posidonio, in V. COSTA (a cura di), Tradizione e trasmissione degli storici greci frammentari II, Tivoli (2013), pp. 335-364.
– Federico Frasson, Durum in armis genus. I Liguri nell’esercito punico, in L’Africa Romana 18, I, Roma (2010), pp. 243-256.
– Giancarlo Ambrosetti, Roberto Macellari, Luigi Malnat (a cura di), Vestigia Crustunei: insediamenti etruschi lungo il corso del Crostolo, Edizioni Tecnostampa, Reggio Emilia (1990)
– Adriano Maggiani, Liguri orientali: la situazione archeologica in età ellenistica, in Rivista di studi liguri XLV, Bordighera (1979)
– G. Ciampoltrini, P. Notini, La Fanciulla di Vagli. Il sepolcreto ligure-apuano della Murata a Vagli Sopra, Bientina 2013
– Roberto Macellari (a cura di), Gli etruschi e gli altri. Reggio Emilia terra di incontri, Skira (2014)